La lavorazione della canapa

  • Ecomuseo Val Sanagra - Lavorazione della canapa - foto: turismocolico.it

    Lavorazione della canapa - foto: turismocolico.it

Per secoli la canapa è stata coltivata in tutto il territorio lariano, laddove le condizioni ambientali ne rendessero possibile la semina. Tale materiale veniva per lo più utilizzato per tessere la biancheria personale e della casa.

  • La coltura

    Secondo la tradizione la canapa veniva seminata tra aprile e maggio, solo sui terreni più umidi. Si procedeva a spaglio, ovvero con manciate abbondanti sparse sul terreno da coltura. Durante la crescita le piante dovevano essere curate e liberate dalle altre piante erbacee soffocanti. La raccolta avveniva tra luglio e agosto, e si estirpava solo la canapa “maschio”. Le “femmine” venivano lasciate sul terreno per ottenere, in ottobre, i semi utili all’anno successivo. Le piante raccolte venivano riuniti in fasci, o mazzi, detti anche mannelli, accatastati l’uno sull’altro in grosse buche che venivano riempite d’acqua. Qui la canapa macerava, e gli steli fibrosi che ne componevano il fusto diventavano più facilmente separabili. La durata della macerazione dipendeva da vari fattori, soprattutto quelli atmosferici.

  • Le prime lavorazioni

    Al termine del processo si procedeva all’essiccazione dei fasci, i quali venivano riuniti in covoni riparati dalla pioggia per alcune settimane. Terminata l’essiccazione, si procedeva a separare le fibre dalle parti legnose con l’utilizzo della gramola. La gramola era un attrezzo dalla forma simile ad un cavalletto, con quattro gambe divise a due per lato e unite da un’asse centrale. Qui gli steli di canapa venivano spezzata e maciullate per essere resi maggiormente flessibili. Successivamente venivano battuti con una spatola su un’asse di legno, per eliminare le ultime particelle dure rimaste.

  • La fase finale

    Infine, si procedeva alla pettinatura, per liberare le fibre dalle ultime impurità. Tale operazione era spesso svolta dalle donne che, da sedute, reggevano il pettine tra le ginocchia tenendolo fisso al terreno con un piede, e passavano tra i denti le fibre di canapa. Raggiunta la dimensione desiderata, il materiale veniva filato con un fuso, un oggetto dalla forma romboidale di solito di legno attorno al quale veniva avvolto il filo.

    Lo scarto della produzione era chiamato stoppa, troppo corta per essere filata, veniva comunque utilizzata per diversi impieghi. Il filo, invece, veniva avvolto in matasse e fatto bollire a fuoco lento; al termine della bollitura le matasse erano raffreddate in acqua fredda e stese per l’asciugatura. Una volta asciugato, il filo era pronto per la fase finale, la tessitura.