Il lavoro del carbonaio

  • Ecomuseo Val Sanagra - Il lavoro del carbonaio in un'illustrazione del '500 - De la pirotechnia 1540. Edizioni Il Polifilo.

    Il lavoro del carbonaio in un'illustrazione del '500 - De la pirotechnia 1540. Edizioni Il Polifilo.

In tutto il territorio montano, in particolare nella media valle, si trovano degli spiazzi ricavati dove il terreno è più scosceso, nel pieno delle zone più boschive.
Su tali spiazzi veniva prodotto il carbone artificiale, un tempo considerato di gran pregio e largamente utilizzato dagli altri centri produttivi della zona.

La professione del carbonaio è attestata in tutto il territorio lariano fin dal medioevo, ed è molto probabile esistesse anche in precedenza.
Si praticava nel periodo invernale quando i lavori dei campi erano fermi e gli uomini si dedicavano ad attività alternative.
Il periodo freddo è inoltre l’ideale per il taglio del bosco in quanto la vegetazione è nel pieno del suo letargo.
Particolarmente adatto alla metallurgia, il carbone ricavato dalla legna risultava più leggero del legname e aveva una resa calorica maggiore: l’attività del maglio, ad esempio, sfruttava il carbone prodotto in Val Sanagra data la necessità di raggiungere temperature elevate nel processo di lavorazione del metallo.

Le testimonianze in merito ai carbonari, i produttori di carbone, sono numerose.

I centri principali di produzione erano Madri, l’alpe Leveja, l’alpe Erba e Molini.

  • Procedimento

    Per produrre il carbone, tra preparazione e combustione, servivano cinque giorni.
    Il procedimento era lento e richiedeva una vigilanza continua e, in generale, il lavoro del carbonaio era impegnativo e necessitava capacità ed esperienza. Gli alberi sfruttati erano il carpino, il ciliegio, il frassino, l’olmo, il faggio e la betulla.

    I carbonari raccontano che la legna doveva essere tagliata seguendo i giorni di luna favorevole, quella calante. Secondo la tradizione, il periodo di luna calante è l’ideale per il taglio della legna, sia per quella da ardere che per quella utilizzata per l’edilizia e falegnameria; il legname tagliato in luna crescente, invece, si deteriora facilmente e non ha resa.
    Tagliata la legna, si preparava la iala, una piazzola di cinque metri di diametro al centro della quale si ponevano i rami. I rami erano tagliatati in maniera abbastanza conforme e ripuliti di quelli più piccoli, venivano poi accatastatati attorno ad un palo a formare un cono. Ivi si formava un cumulo con un’apertura sulla base. Il tutto veniva ricoperto di sterpaglie verdi, terra, muschio e fogliame; il risultato era il puiatt, una capanna dalle sembianza vagamente indiane dalla forma semisferica. Attorno al puiatt si formava la rostra, una recinzione di contenimento alta 50-60 centimetri composta da bastoni conficcati nel terreno e rami di ginestre intrecciati tra loro. Per accendere il cumulo si rimuoveva il palo centrale lasciando un buco centrale attraverso il quale venivano inseriti rami incendiati per accendere il fuoco. Quando il fumo da nero, com’era all’inizio del processo, diventava prima bianco e, infine, azzurrognolo e praticamente assente, era il segnale che il processo era ultimato e si procedeva ad estrarre il carbone. La combustione durava, in media, dai tre ai quattro giorni.
    Il puiatt era quindi irrorato con grandi quantità d’acqua, necessaria per spegnere il fuoco interno.
    Il prodotto ottenuto doveva asciugare per qualche tempo; infine, era raccolto in grossi sacchi di juta e trasportato in paese a dorso di mulo, o a spalla, pronto per essere utilizzato.