La produzione della calce

  • Ecomuseo Val Sanagra - Calchera piena di calcare cotto - foto morandibortot.it

    Calchera piena di calcare cotto - foto morandibortot.it

  • Ecomuseo Val Sanagra - Calchera della Val Sanagra

    Calchera della Val Sanagra

Sulla base di ogni calchera veniva scavata una camera di combustione nella quale veniva adagiato il carbone. Sopra la camera di combustione venivano posti alcuni supporti dove appoggiare il calcare: a combustione avviata gli operai provvedevano a coprirlo con terra o altri sassi, indi sigillavano il forno chiudendo la sommità. La porta della calchera veniva lasciata aperta per controllare il fuoco e inserire il combustibile.

Il procedimento durava dai tre ai quattro giorni, sempre sotto stretta sorveglianza degli operai, tra i quali era fondamentale il mastro fornaciao, il responsabile del processo. Il termine della cottura veniva controllato attraverso il camino superiore: quando le fiamme assumevano riflessi azzurrognoli era il momento di spegnere il forno.
Per controllare l’effettiva trasformazione di calcare in calce, gli operai bagnavano porzioni di materiale per indurre una reazione chimica di prova. Passato il test, la calce veniva scaricata dal forno e si passava alla fase successiva: la trasformazione da calce “viva” a calce “morta” tramite immersione in acqua. Il rischio di ustioni era altissimo, perciò gli operi dovevano scavare delle profonde buche in cui disporre la calce rimossa dal forno, la cosiddetta calce “viva”, e le irroravano con l’acqua del torrente. Al termine della reazione si otteneva la calce “morta”, quella utilizzata nell’edilizia e in agricoltura. L’intero processo aveva una durata complessiva dai sette agli otto giorni: il prodotto poteva poi essere trasportato in paese per essere utilizzato o commercializzato.